SENTENZA N. 232
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giuseppe TESAURO;
Giudici : Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe
FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti
sorto a seguito della delibera della Giunta della Regione Veneto
11 febbraio 2013, n. 179, pubblicata nel Bollettino ufficiale
della Regione n. 20 del 26 febbraio 2013, avente per oggetto
«Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da
scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del
d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.», promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26 aprile 2013,
depositato in cancelleria il 30 aprile 2013 ed iscritto al n. 5
del registro conflitti tra enti 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 23 settembre 2014 il
Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Manzi
per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso, notificato alla Regione Veneto il 26
aprile 2013 (iscritto al reg. confl. enti n. 5 del 2013) e
depositato il successivo 30 aprile, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha promosso conflitto di attribuzione in relazione
alla delibera della Giunta regionale del Veneto 11 febbraio
2013, n. 179, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione
n. 20 del 26 febbraio 2013, avente ad oggetto «Procedure
operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i
quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152
del 2006 e s.m.i.», per violazione degli artt. 117, secondo
comma, lettera s), e 118, primo comma, della Costituzione.
2.– La delibera 11 febbraio 2013, n. 179, ha
approvato le procedure operative per la gestione delle terre e
rocce da scavo prodotte nel corso di attività e interventi
provenienti da cantieri di piccole dimensioni, la cui produzione
non superi i 6000 metri cubi per singolo cantiere. Le procedure
in questione sono contenute nell’Allegato A alla delibera.
3.– A parere del Presidente del Consiglio dei
ministri il provvedimento in esame, seppur di apparente natura
meramente provvedimentale, risulterebbe avere un contenuto
sostanzialmente regolamentare, in quanto contiene disposizioni
valevoli in linea generale ed astratta per i destinatari delle
stesse. Rileva l’Avvocatura generale dello Stato che la delibera
in oggetto appare invasiva della competenza legislativa
esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema»
attribuita al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
Il ricorrente ricorda che il legislatore statale ha
disciplinato le procedure operative per la gestione delle
suindicate terre e rocce da scavo con il decreto del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto
2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina
dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo), adottato ai
sensi dell’art. 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale). In particolare l’art. 8,
comma 1, (recte: art. 3, comma 1) renderebbe evidente che
l’ambito di applicazione del d.m. n. 161 del 2012 comprende
l’intera gestione delle terre e rocce da scavo, senza prevedere
alcuna distinzione tra quantitativi di terra e rocce superiori o
inferiori ai seimila metri cubi di volume per singolo cantiere.
Emergerebbe dunque in maniera indiscutibile la
lesione, da parte della delibera regionale impugnata, della
competenza statale in materia di ambiente, che comprende anche
la disciplina dei rifiuti, come riaffermato da una consolidata
giurisprudenza costituzionale. Il provvedimento in questione,
ponendo regole e procedure di gestione di quei rifiuti, valevoli
territorialmente solo per il territorio regionale, avrebbe
ecceduto dalle competenze della Regione, invadendo l’ambito di
competenza esclusiva dello Stato.
3.1.– Aggiunge l’Avvocatura generale dello Stato
che, per le medesime ragioni, il provvedimento lede altresì
l’art. 118, primo comma, Cost. in quanto interferisce con una
funzione che, in virtù di quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del
2006, la legge riserva espressamente allo Stato, allo scopo di
stabilire una disciplina unitaria ed omogenea sul territorio
nazionale. Invero, l’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del
2006 (menzionato anche nell’intestazione del provvedimento
impugnato), riconoscerebbe alla competenza esclusiva del
Ministero dell’ambiente la possibilità di fornire una disciplina
semplificativa con riguardo alle procedure relative ai
materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti
da cantieri di piccole dimensioni e la cui produzione non superi
i seimila metri cubi di materiale.
In conclusione, la difesa statale chiede che sia
dichiarato che non spetta alla Regione Veneto, e per essa alla
Giunta regionale, adottare una delibera con la quale vengano
approvate le «Procedure operative per la gestione delle terre e
rocce da scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma
7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.» e che, pertanto, essa
sia annullata.
4.– Si è costituita in giudizio la Regione Veneto
concludendo per la inammissibilità del ricorso ovvero per il suo
rigetto, chiedendo che sia dichiarata la competenza della Giunta
regionale del Veneto all’esercizio delle funzioni amministrative
oggetto dell’atto impugnato.
4.1.– La resistente eccepisce l’inammissibilità del
ricorso anzitutto sostenendo che il ricorrente ha impugnato un
provvedimento, erroneamente reputato di valenza normativa, ma in
realtà dotato di forma e sostanza amministrativa, invocando la
violazione di parametri di costituzionalità riguardanti la
potestà legislativa esclusiva statale.
La Regione Veneto inoltre dubita dell’effettività
del conflitto, in quanto la delibera impugnata si occuperebbe di
un settore – quello dei cantieri di piccole dimensioni – che
sarebbe rimasto del tutto sprovvisto di adeguata disciplina a
seguito dell’approvazione del d.m. n. 161 del 2012 il quale,
mentre tratta esaustivamente della gestione delle terre e rocce
da scavo, lascia però scoperto il settore oggetto del
provvedimento regionale, ovvero i cantieri con produzione di
materiali da scavo inferiore a seimila metri cubi. Pertanto, il
provvedimento regionale impugnato non lederebbe alcuna
competenza statale, ma si sarebbe reso necessario per colmare un
vuoto amministrativo e funzionale.
Un ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe
dal fatto che l’atto impugnato avrebbe natura meramente
confermativa o consequenziale rispetto a precedenti analoghi.
In conclusione, la difesa regionale nota che la
delibera non conforme alla disciplina statale avrebbe dovuto
essere sottoposta al vaglio del giudice amministrativo, anziché
di questa Corte.
4.2.– Nel merito, la difesa regionale sostiene che
l’atto impugnato sia carente di contenuto regolatorio,
limitandosi a introdurre un livello di disciplina, in materia di
piccoli cantieri, non riconducibile alla normativa dettata dal
decreto invocato dalla difesa erariale, semplicemente perché
attinente a profili dallo stesso non considerati ed al medesimo
non ascrivibili.
La difesa regionale sostiene che non risulterebbe
affatto dimostrata la relazione idonea a connettere il
provvedimento amministrativo regionale alle attribuzioni in
materia ambientale riconosciute allo Stato dall’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost. Poiché tutti i provvedimenti
regionali antecedenti a quello impugnato sarebbero stati
ancorati alla disciplina statale e avrebbero potuto
pacificamente dispiegare gli effetti loro propri, non si
coglierebbero i profili di illegittimità dell’operato regionale
contestati dal Governo.
In conclusione, la difesa ribadisce che la delibera
regionale avrebbe natura meramente provvedimentale, con oggetto
dichiaratamente procedurale e semplificatorio, e che non
presenterebbe alcun profilo qualificabile come espressione di
potestà regolamentare. A conferma dell’assenza dei presupposti
per il ricorso starebbe l’efficacia dichiaratamente cedevole dei
contenuti dell’atto impugnato, destinati ad essere caducati per
effetto dell’eventuale emanazione della normativa statale. Nella
denegata ipotesi che fosse affermata la ritenuta valenza
parzialmente suppletiva dell’atto regionale impugnato, la
resistente ribadisce che, con il provvedimento impugnato, la
Regione Veneto ha unicamente inteso perseguire la
semplificazione dei procedimenti amministrativi di propria
competenza, materia oggetto di competenza residuale regionale.
Del resto, a parere della difesa regionale, la tipologia dei
cantieri considerata nell’atto afferisce anche all’esecuzione di
opere pubbliche di competenza regionale e all’esecuzione di
lavori di edilizia residenziale pubblica, tutte materie di
attribuzione esclusiva regionale.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
promosso conflitto di attribuzione in relazione alla delibera
della Giunta regionale del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179,
pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 20 del 26
febbraio 2013, recante «Procedure operative per la gestione
delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati
all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.», per
violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), e 118,
primo comma, della Costituzione.
2.– La Regione Veneto, costituitasi in giudizio, ha
preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, in
quanto il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe
impugnato un provvedimento di forma e sostanza amministrativa,
inidoneo a produrre gli effetti normativi, e quindi lesivi,
lamentati. Inoltre, la Regione ritiene, diversamente da quanto
affermato dalla difesa statale, che la delibera regionale
impugnata non si occupi di un settore già regolato da un atto
normativo statale – nella specie il decreto del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto
2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina
dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo) – ma riguardi
un ambito, quello dei cantieri di piccole dimensioni, da esso
non interessato. Infine, la Regione rileva che il provvedimento
impugnato sarebbe un atto di natura meramente confermativa o
consequenziale rispetto a precedenti di analogo contenuto, mai
impugnati dalla difesa statale.
I rilievi della Regione in punto di inammissibilità
sono destituiti di fondamento.
Secondo una giurisprudenza costante di questa Corte,
è idoneo a innescare un conflitto intersoggettivo di
attribuzione qualsiasi atto, dotato di efficacia e rilevanza
esterna, diretto a esprimere in modo chiaro e inequivoco la
pretesa di esercitare una competenza, il cui svolgimento possa
determinare una invasione, o una menomazione, della altrui sfera
di attribuzioni (ex plurimis, sentenze n. 122 del 2013 e n. 332
del 2011). Nel caso di specie, sono pacifiche l’efficacia e la
rilevanza esterna della delibera impugnata, che detta le
procedure da seguire per lo smaltimento delle rocce e terre da
scavo prodotte nei cantieri di piccole dimensioni. Tale delibera
è censurata in quanto invasiva della materia della «tutela
dell’ambiente», annoverata dall’art. 117, comma secondo, lettera
s), Cost., tra le competenze esclusive dello Stato, e in quanto
lesiva dell’art. 118, primo comma, Cost., per la sovrapposizione
che essa determina con le funzioni amministrative che lo Stato
ha riservato ad atti ministeriali. Quale che sia la natura
dell’atto impugnato, nessun dubbio sussiste circa la sua
idoneità a causare la lamentata lesione delle competenze statali
in materia di ambiente.
Neppure è fondato il rilievo che l’atto impugnato
avrebbe carattere meramente confermativo o consequenziale
rispetto a delibere adottate in precedenza dalla medesima Giunta
regionale del Veneto in tema di procedure per la gestione delle
terre e rocce da scavo e aventi analogo contenuto. Invero,
questa Corte ha ripetutamente affermato che il conflitto di
attribuzione è inammissibile se proposto contro atti meramente
consequenziali (confermativi, riproduttivi, esplicativi,
esecutivi ecc.) rispetto ad atti anteriori, non impugnati (ex
plurimis, sentenze n. 130 del 2014, n. 144 del 2013, n. 207 del
2012), qualora l’atto impugnato «ripeta identicamente il
contenuto o […] costituisca una mera e necessaria esecuzione di
un altro atto, che ne costituisca il precedente logico e
giuridico» (sentenza n. 369 del 2010, nonché sentenze n. 472 del
1975, n. 32 del 1958 e n. 18 del 1956). Nel caso in discussione,
però, la delibera impugnata non si configura come atto meramente
confermativo o consequenziale. La difesa regionale fa
riferimento a precedenti delibere riguardanti le procedure
operative per la gestione delle terre e rocce da scavo, emanate
ai sensi dell’art. 186 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), d’ora in avanti «codice
dell’ambiente», in base, cioè, a una disposizione abrogata in
seguito all’entrata in vigore del d.m. n. 161 del 2012, al
quale, invece, si riferisce la delibera impugnata con
l’intendimento di rimediare transitoriamente al vuoto normativo
da esso generato. Pertanto, la delibera 11 febbraio 2013, n.
179, si distingue dalle precedenti sotto vari profili: per
l’oggetto, limitato alla semplificazione delle procedure per le
terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole
dimensioni; per il fondamento legislativo, da individuarsi non
nell’abrogato art. 186, bensì nell’art. 266, comma 7, del d.lgs.
n. 152 del 2006; per lo scopo che essa persegue, di rimediare,
in parte qua, proprio al venir meno della norma statale su cui
le delibere anteriori si fondavano. Tali circostanze escludono
che l’atto impugnato possa considerarsi meramente riproduttivo,
confermativo o esecutivo dei precedenti.
3.– Ancora in via preliminare, occorre chiarire gli
effetti della delibera 11 febbraio 2013, n. 179, dal punto di
vista temporale, dato che nelle more del giudizio il legislatore
statale ha approvato l’attesa disciplina che semplifica il
regime delle terre e rocce da scavo provenienti da piccoli
cantieri. La disciplina semplificata è stata infatti adottata
con l’art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), inserito
dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98.
In particolare la novella legislativa prevede che i
materiali da scavo, anziché essere gestiti come rifiuti, siano
soggetti al regime dei sottoprodotti di cui all’art. 184-bis del
codice dell’ambiente, purché siano rispettate determinate
condizioni. Occorre, in particolare, che il produttore dimostri:
«a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso
uno o più siti o cicli produttivi determinati; b) che, in caso
di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti,
riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono
superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione
di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla
parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con
riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla
destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione e i
materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o
indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di
fondo naturale; c) che, in caso di destinazione ad un successivo
ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per la
salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni
rispetto al normale utilizzo delle materie prime; d) che ai fini
di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i
materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve
le normali pratiche industriali e di cantiere».
L’esigenza di semplificazione del regime dei
materiali da scavo di piccoli cantieri, di cui la Giunta della
Regione Veneto ha ritenuto di farsi carico con la delibera
impugnata, è stata dunque soddisfatta dagli interventi
legislativi statali sopra ricordati. Poiché la Giunta si
proponeva «di fornire indirizzi per la corretta gestione delle
terre e rocce da scavo nelle more dell’emanazione del decreto di
cui all’art. 266, comma 7, per quei quantitativi di materiale di
risulta prodotto dagli scavi fino ad un massimo di seimila metri
cubi per cantiere», la delibera 11 febbraio 2013, n. 179 è da
considerarsi “cedevole” rispetto alla disciplina statale.
Essendo ora sopravvenuta la legislazione statale, si deve dunque
ritenere che l’atto regionale abbia esaurito i suoi effetti.
Ciò nondimeno, il ricorso deve essere esaminato nel
merito, sia perché la delibera sottoposta all’esame di questa
Corte è rimasta in vigore per alcuni mesi e si deve presumere
che durante quel periodo abbia avuto applicazione, sia perché le
censure prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri si
appuntano sull’adozione da parte della Giunta regionale di una
normativa “ponte”, destinata a cedere il passo alla normativa
statale, in una materia di competenza esclusiva dello Stato.
Del resto, va ricordato che questa Corte ha già
avuto modo di affermare l’irrilevanza delle sopravvenienze di
fatto, come l’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato, ai
fini del persistere dell’interesse alla decisione dei conflitti
di attribuzione (ex plurimis, sentenze n. 9 del 2013, n. 328 del
2010, n. 222 del 2006, nn. 287 e 263 del 2005 e n. 289 del
1993).
4.– Nel merito, il ricorso è fondato.
La delibera della Giunta regionale del Veneto 11
febbraio 2013, n. 179, che disciplina le procedure per lo
smaltimento dei materiali da scavo provenienti da cantieri di
piccole dimensioni, è censurata in quanto interviene nell’ambito
della «tutela dell’ambiente», riservata allo Stato ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare, in due
recenti decisioni (sentenze n. 70 del 2014 e n. 300 del 2013),
che la disciplina delle procedure per lo smaltimento delle rocce
e terre da scavo attiene al trattamento dei residui di
produzione ed è perciò da ascriversi alla «tutela
dell’ambiente», affidata in via esclusiva alle competenze dello
Stato, affinché siano garantiti livelli di tutela uniformi su
tutto il territorio nazionale.
Nelle medesime decisioni, la Corte ha altresì
chiarito che in materia di smaltimento delle rocce e terre da
scavo non residua alcuna competenza – neppure di carattere
suppletivo e cedevole – in capo alle Regioni e alle Province
autonome in vista della semplificazione delle procedure da
applicarsi ai cantieri di piccole dimensioni.
A questo proposito occorre ricordare che l’art.
266, comma 7, del codice dell’ambiente riserva allo Stato, e per
esso ad un apposito decreto ministeriale, la competenza a
dettare «la disciplina per la semplificazione amministrativa
delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le
rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni»,
senza lasciare alcuno spazio a competenze delle Regioni e delle
Province autonome. A sua volta l’art. 184-bis del codice
dell’ambiente, relativo al trattamento dei sottoprodotti – a cui
il sopravvenuto art. 41-bis del d.l. n. 69 del 2013 riconduce il
regime delle terre e delle rocce da scavo – prevede che sia un
decreto ministeriale ad adottare i criteri qualitativi o
quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di
sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non
rifiuti.
La materia è dunque interamente attratta
nell’ambito delle competenze dello Stato. Di conseguenza,
l’impugnata delibera della Giunta regionale del Veneto, che
detta una disciplina semplificata da applicarsi allo smaltimento
dei residui di produzione dei cantieri di piccole dimensioni,
anche se valevole in via suppletiva in attesa dell’intervento
statale, ha invaso le competenze dello Stato in materia di
tutela dell’ambiente e deve essere annullata.
Restano assorbiti gli altri motivi di censura.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che non spettava alla Giunta regionale
del Veneto deliberare in materia di procedure operative per la
gestione delle terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di
piccole dimensioni, come definiti dall’art. 266, comma 7, del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale);
2) annulla, di conseguenza, la delibera della
Giunta regionale del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, recante
«Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da
scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del
d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2014.
F.to:
Giuseppe TESAURO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI