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12-10-2015
Cassazione penale, sottoprodotti e normale pratica industriale
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40109 del 6 ottobre
2015, ha affermato che la "normale pratica industriale"
ricomprende tutti quei trattamenti o interventi (non di
trasformazione o di recupero completo) i quali non incidono o fanno
perdere al materiale la sua identità e le caratteristiche merceologiche e di
qualità ambientale che esso già possiede - come prodotto
industriale (all'esito del processo di lavorazione della materia prima) o
come sottoprodotto (fin dalla sua origine, in quanto residuo produttivo) —
ma che si rendono utili o funzionali per il suo ulteriore e specifico
utilizzo, presso il produttore o presso altri utilizzatori (anche in altro
luogo e in distinto processo produttivo), come le operazioni: di lavaggio,
essiccazione, selezione, cernita, vagliatura, macinazione, frantumazione,
ecc..
In definitiva, il sottoprodotto non necessita di essere
sottoposto al trattamento di recupero, altrimenti non rivestirebbe
le caratteristiche merceologiche e ambientali che lo connotano sin
dall'origine, e che lo qualificano come tale, contrapponendolo e
distinguendolo dal "rifiuto" (soggetto a trattamento di recupero, proprio
perché, come "residuo produttivo", non possiede dette caratteristiche di
qualità). Ma, al contempo, non è più richiesto, in modo rigoroso che
il sottoprodotto sia utilizzato "tal quale" in quanto sono permessi
trattamenti minimi, rientranti nella normale pratica industriale,
come sopra identificata.
Ove i residui della produzione industriale siano "ab origine"
classificati da chi li produce come rifiuti, gli stessi devono
ritenersi sottratti alla normativa derogatoria prevista per i
sottoprodotti come definiti dall'art. 183, comma primo, lett. n)
del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (oggi, art. 184 bis, d.lgs. n. 152 del
2006), in quanto la classificazione operata dal produttore esprime quella
volontà di disfarsi degli stessi idonea a qualificarli come "rifiuti" in
base all'art. 183, comma primo, lett. a) del citato D.Lgs.
Nel caso di specie, difatti i materiali in questione all'arrivo presso
l'azienda erano tutti accompagnati da formulari di identificazione
dei rifiuti, in quanto era lo stesso produttore del rifiuto a
qualificare i materiali "in uscita" inviati alla ditta come rifiuto:
pertanto è inaccoglibile la tesi difensiva sostenuta dalla ricorrente che
sostiene trattarsi non dì rifiuti ma di sottoprodotti, poiché i formulari di
identificazione sarebbero serviti solo per la "tracciabilità" dei materiali.