La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36926/2024, si è pronunciata in merito alla qualificazione giuridica (rifiuto o scarico) dei liquami zootecnici.
In assenza di uno «scarico» in senso tecnico-giuridico, i liquami zootecnici costituiscono rifiuto ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. a), D.lgs. n. 152/32006, con applicazione della disciplina della parte quarta del Decreto anche in termini sanzionatori, ai sensi dell’art. 256 del Testo Unico.
Il nesso funzionale e diretto delle acque con il corpo recettore può essere attuato mediante «qualunque sistema stabile di collettamento» che ne consenta la canalizzazione senza soluzione di continuità, e non necessariamente attraverso una «condotta»: quindi, per «scarico», si deve intendere l’immissione nel corpo recettore tramite condotta o comunque tramite un sistema di canalizzazione anche se non necessariamente costituito da tubazioni.
In tal senso, la Corte in precedenza ha ritenuto che sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, e non acque di scarico:
- gli effluenti di allevamento di bestiame che, in luogo di defluire direttamente nelle condotte di scarico, siano raccolti in apposite vasche a tempo indeterminato;
- i reflui, ove siano raccolti prima in una vasca e poi sparsi sul terreno;
- i reflui stoccati in modo incontrollato e a tempo indeterminato all’interno di vasche che, tracimando dai bordi, finiscano nel terreno circostante.
È quindi del tutto evidente, prosegue la Corte, il concetto di «stabile collettamento» deve essere inteso non in senso assoluto, ma relativo, ossia riferito alla presenza di un «collegamento funzionale diretto» tra il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore.
Nel caso di specie, il Giudice di merito aveva ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 137, d.lgs. n. 152/2006 il legale rappresentante di una azienda agricola, in quanto effettuava scarichi di reflui zootecnici senza la prescritta autorizzazione. Condotta contestata riqualificata dalla Corte ai sensi dell’art. 256, comma 2 d.lgs. 152/2006.