La corte di Cassazione, con la sentenza n. 46743/2024, si è pronunciata sulla natura di reato di pericolo della fattispecie di combustione illecita di rifiuti, ex art. 256 bis D.lgs. 152/2006.
La Corte, respingendo le tesi difensive, ha ribadito che non occorre ai fini dell’integrazione della fattispecie di combustione illecita di rifiuti – trattandosi di reato di pericolo – che si determini un danno all’ambiente né di un pericolo concreto per l’incolumità pubblica, in quanto la valutazione in ordine all’offesa al bene giuridico protetto va retrocessa al momento della condotta secondo un giudizio prognostico “ex ante”.
Del resto, il fatto che il ricorrente abbia costantemente vigilato sul fuoco, impedendo la fuoriuscita di detriti ed evitandone il propagarsi, non rileva, essendo il reato integrato dalla mera condotta di appiccamento del fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata.
Nel caso di specie, la Corte ha confermato la sentenza emessa dal giudice di primo grado, che ha condannato il ricorrente per il reato di cui all’art. 256 bis D.lgs. 152/2006, perché, quale titolare della ditta appiccava il fuoco a rifiuti speciali pericolosi, quali filtri di olio esausto, pezzi meccanici di automezzi, contenitori di olio, abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in area non autorizzata, con l’aggravante di aver agito nell’ambito di un’attività d’impresa e della recidiva reiterata.